SLC - CGIL   ROMA e LAZIO
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PIU' POTERE AI LAVORATORI DELLO SPETTACOLO, DELLE EMITTENTI,DELLO SPORT, NELLA SALVAGUARDIA DELLE CONQUISTE COLLETTIVE GRAZIE AD UNA IMPORTANTE SENTENZA!

Accade nei periodi in cui le occasioni di lavoro sono più scarse che i lavoratori, in particolare i discontinui, vengano costretti ad accettare condizioni di lavoro irregolari o semiregolari, comunque peggiorative rispetto a quelle previste sindacalmente.
Si raccontano tante, troppe storie, di chi ha accettato condizioni vessatorie per lavorare, ma non da chi le ha accettate, bensì da altri, da quelli che, non accettandole, hanno rinunciato a qualcosa, e spesso il "qualcosa" è il lavoro.
Quasi sempre, invece, i diretti interessati subiscono e tacciono; raramente reclamano i legittimi crediti di lavoro, e se lo fanno è dopo, ad ingiustizia compiuta.
Sia chi subisce le condizioni vessatorie lavorando, sia chi rinuncia a lavorare per non accettarle, è vittima di un mercato del lavoro spesso spietato, ai confini della legalità.
Sulla materia interviene però oggi una sentenza della Corte di Cassazione, la n° 366422 del 5 ottobre 2007, che può esser utile ad abbattere il muro della paura e dell'omertà e a difendere il potere contrattuale individuale.
Vediamo cosa dice nel merito questa sentenza.
Tre datori di lavoro avevano imposto ad alcune dipendenti trattamenti economici inferiori alle tabelle contrattuali in una situazione di mercato caratterizzata dalla scarsa occupazione, quindi, tale per cui ribellarsi poteva equivalere a perdere il posto di lavoro.
I tre sono stati processati per estorsione ai sensi dell'art. 692 del Codice Penale, ma assolti in primo grado per difetto del presupposto di una comprovata minaccia di licenziamento illegittimo ai danni delle lavoratrici, presumendo cioè che le vessatorie condizioni subite dalle lavoratrici fossero oggetto di accordo privato tra le parti.
In appello e poi in Cassazione, invece, i tre sono stati condannati perché un accordo privato tra datore di lavoro e lavoratore che veda l'accettazione da parte di quest'ultimo di una paga inferiore al minimo stabilito dalla contrattazione e non proporzionata alle ore effettivamente lavorate non esclude, di per sé, la sussistenza dei presupposti dell'ESTORSIONE MEDIANTE MINACCIA, trattandosi nel caso di una minaccia larvata, ma non per questo meno grave ed immanente, di avvalersi di una siffatta situazione di mercato per esercitare un ricatto sul lavoratore.
La condanna per estorsione prevede una pena da 5 a 10 anni di reclusione e fino a 20 con le aggravanti.
E' quindi del tutto evidente l'effetto deterrente che questa sentenza di alto valore politico può avere nei confronti di quegli imprenditori che, facendo leva sullo stato di necessità e sulla condizione di soggezione del lavoratore, volessero stabilire condizioni di sottosalario e di rinuncia ad elementari diritti.
Ora possiamo dire che abbiamo uno strumento in più per resistere all'imposizione di rinunce mediante forfait a perdere, mancette in nero, clausole capestro, sotto il ricatto del prendere o lasciare perché tanto "uno che accetta lo trovo presto". Questa sentenza infatti afferma un principio importante e ci consegna un forte potere di dissuasione nei confronti di quegli imprenditori spregiudicati che hanno utilizzato e utilizzano le difficoltà occupazionali per limitare l'esercizio dei diritti dei lavoratori e costringerli ad impoverire le paghe di fatto.
Occorre perciò sviluppare una vasta campagna d'informazione volta ad accrescere la coscienza dei lavoratori. Se ognuno di noi si impegna in prima persona, tutti insieme siamo più forti!
Informa, vigila, contribuisci in prima persona a spezzare la morsa del ricatto!
ORGANIZZATI NEL SINDACATO !
SLC-CGIL ROMA E LAZIO

                                                                Roma, 15 novembre 2007